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Wednesday, July 06, 2005

L'Africa non vuole soldi

Da Il Giornale di oggi, articolo di Moeletsi Mbeki.

L'Africa resta un Paese stremato dalla povertà e dalle malattie, mentre altri avamposti di ex colonie come alcuni Paesi dell'Asia orientale stanno invece crescendo.
Alla base dei problemi africani ci sono élite politiche, che negli ultimi 40 anni hanno dilapidato le ricchezze del continente e soffocato la sua produttività.
L'elenco degli abusi è lungo e impressionante.
Le élite politiche africane hanno sistematicamente sfruttato la loro posizione allo scopo di riempire le proprie tasche.
Hanno elargito favori e guadagnato in prestigio, finanziando enormi progetti di industrializzazione in perdita.
Hanno sfruttato le risorse naturali dei loro Paesi e ne hanno trasferito i guadagni, le tasse e i fondi stanziati per gli aiuti, nei loro personali conti bancari all'estero, creando nello stesso tempo enormi debiti per finanziare le operazioni dei loro governi.
Quali sono i risultati di queste politiche predatorie?
Secondo la Banca Mondiale e il Fmi, che sono diventati i benefattori dell'Africa, gli africani sono poveri e lo stanno diventando sempre di più.
Osservava la Banca Mondiale: «Malgrado i miglioramenti avvenuti nella seconda metà degli anni Novanta, l'Africa sub-sahariana... entra nel XXI secolo insieme a molti fra i Paesi più poveri del mondo.
Il reddito medio pro capite è più basso di quanto fosse alla fine degli anni Sessanta.
Il reddito, il patrimonio e l'accesso ai servizi essenziali sono distribuiti in modo diseguale.
E nella regione vi è una parte sempre più alta di poveri assoluti, che hanno pochissima autorità per poter influire sullo stanziamento delle risorse».
(...)
Lo sviluppo positivo dell'Africa non si potrà raggiungere dando nuova esca al fuoco.
Dare semplicemente più soldi ai governi africani non fa che rafforzare la pratica dell'abuso.
La chiave dello sviluppo sta nella creazione di un dinamico settore privato.
Perché un Paese produca di più, i singoli individui devono generare guadagni e reinvestirli nel processo di produzione sotto forma di nuove tecniche, processi e prodotti.
Il settore privato in Africa è formato prevalentemente da contadini e, in misura minore, da affiliate di società multinazionali con capitale straniero.
Ma questi gruppi sono sfruttati e intimoriti da élite politiche improduttive che esercitano il loro controllo sullo Stato.
Il settore privato in Africa è privo di potere, in quanto non è libero di decidere sulla destinazione dei suoi guadagni.
Caso tipico: le élite politiche africane usano il loro controllo sullo Stato per sfruttare l'eccedenza dei prodotti agricoli a loro vantaggio.
Se i contadini fossero liberi di tenere per sé questa eccedenza, potrebbero investirla migliorando le tecniche di produzione o diversificando le loro attività economiche.
Invece, le élite politiche usano il controllo dei prezzi e lo strumento fiscale per dirottare quei guadagni e finanziare i loro consumi personali, nonché per rafforzare gli strumenti repressivi dello Stato.
Più le élite politiche africane consolideranno il loro potere stringendo la morsa sulle redini dello Stato, più i contadini diventeranno poveri e l'economia dei Paesi africani regredirà o stagnerà.
Il caso più eloquente di questo fenomeno è la Nigeria.
Secondo uno studio sulla Nigeria, condotto dal Centro per lo Studio dell'Economia dei Paesi africani, di Oxford, fra il 1980 e il 2000 il Pil pro capite, in dollari del 1996, corretto in base al potere di acquisto, è sceso da $ 1.215 a $ 706 - un crollo del 40%.
Il numero di nigeriani che vivono sotto il livello minimo di povertà è cresciuto da 19 milioni nel 1970 a 90 milioni nel 2000.
Tutto ciò accompagnato da un massiccio incremento della disuguaglianza.
Nel 1970, il 2% della popolazione più ricca aveva lo stesso reddito del 17% della popolazione più povera.
Nel 2000, il reddito del 2% di ricchi era pari a quello del 55% di poveri.
Il futuro sviluppo dell'Africa richiede un nuovo tipo di democrazia - una democrazia che garantisca la gestione dell'economia non soltanto alla élite politica, ma anche ai produttori del settore privato.
È necessario che i contadini, che costituiscono l'anima del settore privato, diventino i veri proprietari del loro bene primario, che è la terra.
La proprietà privata della terra non genererebbe soltanto ricchezza, ma contribuirebbe a controllare la deforestazione dilagante e la desertificazione in continuo aumento.
Il cosiddetto sistema di proprietà fondiaria comune, che in realtà è proprietà dello Stato, dovrebbe essere abolita.
Inoltre, i contadini hanno bisogno di avere accesso diretto ai mercati mondiali.
I produttori devono essere in grado di offrire i loro raccolti invece che essere costretti a vendere i prodotti della coltura agricola agli enti controllati dallo Stato.